
Oggi, la maggior parte delle persone può chiudere gli occhi e immaginare un colore nella sua forma più pura. Tuttavia, alcuni studiosi ritengono che questa capacità di concepire il colore in modo astratto sia relativamente moderna. Quando, nel XIX secolo, i classicisti traducevano l’Iliade e l’Odissea di Omero, rimasero perplessi davanti alle insolite metafore cromatiche del poeta antico, in particolare alla sua descrizione del mare come “color del vino” (oinops pontos). All’epoca, una delle teorie era che i Greci antichi fossero collettivamente daltonici. Oggi, invece, i ricercatori suggeriscono che non fosse la loro vista a essere diversa dalla nostra, ma piuttosto la loro percezione psicologica e culturale del colore.
La percezione del colore prima di Newton
Nel suo libro Opticks del 1704, Isaac Newton dimostrò che la luce bianca è composta da uno spettro di colori, ciò che oggi riconosciamo come l’arcobaleno. Questa scoperta mise in discussione la visione aristotelica del colore, che lo concepiva su una scala binaria dal chiaro (bianco) allo scuro (nero), introducendo invece l’idea del colore come spettro astratto e misurabile.
Mark Bradley, professore associato di Storia Antica all’Università di Nottingham, sostiene che le culture antiche non percepissero i colori come entità astratte indipendenti dal contesto. Piuttosto, il colore era considerato la qualità visibile della superficie di un oggetto. Per un Greco antico, un tavolo non era “marrone” in senso astratto, ma “color legno”. In questa visione, i colori erano indissolubilmente legati a materiali specifici e alle esperienze sensoriali.
Il colore come esperienza multisensoriale
Questa concezione materiale del colore permetteva di attribuirgli un ampio ventaglio di significati. I colori non erano solo visivi: potevano evocare odori, consistenze e persino suoni. Gli studiosi suggeriscono che questa percezione multisensoriale, pur non essendo una vera sinestesia in senso neurologico, funzionasse metaforicamente in modi simili.
Ad esempio, il “mare color del vino” di Omero non descriverebbe semplicemente una tonalità, ma evocherebbe le qualità del vino: la sua ricchezza, il suo pericolo, i suoi effetti inebrianti – attributi che potevano metaforicamente riferirsi anche al mare stesso. Bradley interpreta questa espressione non come un’incapacità di descrivere il colore del mare, ma come uno strumento poetico per comunicare una profondità emotiva e sensoriale.
Il potere trascendente del colore
Nell’antica Roma, anche il colore trasmetteva più di una semplice informazione visiva. Prendiamo il colore porpora: estratto da molluschi marini, il colorante era costoso e riservato agli imperatori e agli alti funzionari. Ma portava con sé anche forti associazioni sensoriali, come l’odore pungente del processo di tintura. Per i Romani, il porpora poteva rappresentare ricchezza, potere e status, ma anche l’odore delle sue origini. Ciò che oggi vediamo come una combinazione di rosso e blu, loro potevano “percepirlo” come un materiale prestigioso, odoroso e intenso.
Le scoperte di Newton ci hanno aiutato a isolare e definire i colori come entità astratte, ma è affascinante riflettere su come, meno di mille anni fa, le persone usassero il colore per trasmettere un complesso insieme di esperienze sensoriali ed emotive. Comprendere come si è evoluta la percezione del colore ci ricorda che ciò che vediamo non dipende solo dalla luce e dall’ottica, ma è profondamente influenzato da lingua, cultura e storia.

