All’inizio c’era il porpora. Insieme con l’indaco, il giallo e il nero. Le tinte per tessuti ai tempi dei Fenici, Greci e Romani erano piuttosto netti. Non si conoscevano ancora i metodi per ottenere le tonalità intermedie. Ricostruirne la storia è un problema piuttosto complesso, che passa attraverso l’analisi della chimica empirica e dei procedimenti tintorii delle antiche civiltà. Non si può nemmeno esulare dallo studio delle materie disponibili, tutte di origine vegetale. E neppure dalla linguistica. Perché anche i nomi dati alle diverse tinte potevano variare tra le diverse aree geografiche.
Non è altrettanto difficile risalire ai pigmenti utilizzati nelle opere d’arte, come gli affreschi, le tavole e sculture lignee, le pergamene. Ma i tessuti, si sa, si degradano nel tempo. Scarse quindi le testimonianze a disposizione. Spesso solo dei frammenti.
I quattro colori fondamentali
Una certezza comunque c’è. Anche se in negativo. Per sintetizzare le loro tinte gli antichi non potevano basarsi sulle nostre scale di colori, ad “arcobaleno”, legate ad allora ignote acquisizioni fisiche. I Greci ad esempio disponevano i colori fra i due estremi bianco e nero. Dal chiaro (giallo) allo scuro (blu), passando attraverso gli intermedi rosso e verde, considerati equivalenti. Platone riteneva addirittura che il rosso potesse essere trasformato in verde aggiungendo un po’ di bianco… L’azzurro era semplicemente definito “chiaro”, proprio come il giallo. E in molte lingue infatti i nomi dei due colori hanno la stessa radice (il latino flavus, giallo ha medesima radice del blau, blu).
Nell’elencare i quattro colori fondamentali dell’antichità classica, Plinio ricorda il bianco, il nero, il rosso e il giallo. Ma non menziona il blu, probabilmente solo perché assimilato a una sfumatura di nero, colore ben noto per le pitture murali, ma non utilizzabile per i tessuti. La stessa confusione di nomi e di colori si trova negli autori romani parlando del blu e del porpora.
L’Oltremare di Tiro
Nell’antichità classica il colore “ricco” per eccellenza era la porpora di Tiro, estratta da due molluschi, Murex e Thais. La porpora dell’impero romano non era il semplice Murex, ma, come narra Plinio, il risultato di un doppio bagno: prima nell’estratto di Murex, che dava il rosso, poi in quello di Thais, che conferiva una sfumatura bluastra. Era il cosiddetto “oltremare purpureo”. Un blu di gran pregio.