Storia della tintura della lana, come i nostri avi creavano capi colorati per difendersi dal freddo

Sono tanti i doni che la natura mette a disposizione della fantasia umana, senz’altro i colori sono i più immediati ed attraenti. Si sa con certezza che sin dagli albori della civiltà ed in ogni angolo della Terra lo sfruttamento di questo dono ha accompagnato ogni espressione dell’artigianato e dell’arte. Dalle primitive stoffe villanoviane alla porpora degli imperatori romani, dai panni fiorentini che finanziarono il Rinascimento, alle vele genovesi che originarono il jeans, dalle divise azzurre della Grande Armata di Napoleone Bonaparte, alle camice rosse dei Mille di Garibaldi, l’arte tintoria ha accompagnato tutta la cultura comunicando i valori, l’eleganza, il potere con un linguaggio visibile, immediato e inequivocabile.

Fin dall’antichità l’uomo ha studiato i colori della natura che lo circondavano cercando di riprodurli ricavandoli da risorse della natura come foglie, frutti, bacche, cortecce, radici, licheni, insetti, molluschi e minerali. L’uomo primitivo, ad esempio, ha cominciato con l’utilizzare delle pietre colorate e le argille per disegnare sulle pareti delle caverne la realtà in cui viveva. Probabilmente è solo in un secondo momento che l’uomo è riuscito a tingere delle fibre naturali, cioè a riportare su lana e su lino i colori che venivano ricavati dalle argille e dai vegetali per difendersi dal freddo rigido dei mesi invernali. Nell’epoca neolitica, quando dal nomadismo l’uomo era passato ad organizzarsi in villaggi, la filatura e la tessitura erano fiorentissime e parallelamente a quelle arti si era sviluppata anche la tintura. Elementi naturali come la Robbia, il Guado e l’Uva Ursina venivano usati per tingere e venivano coltivati anche per questa utilizzazione.

La tintura era diffusa ovunque, se pur con caratteristiche diverse. Gli egizi, ad esempio, tingevano soprattutto il lino, gli assiro-babilonesi la lana, gli indiani il cotone, i cinesi ed i giapponesi la seta, le popolazioni del sud e del centro America le loro lane particolari. In Italia la tintura ebbe un forte impulso intorno all’VIII secolo quando i greci colonizzarono le coste italiane facendo sviluppare arte, industria, artigianato e commercio. I rapporti commerciali e politici con i greci, portarono i costumi dell’Antica Roma ad una maggior raffinatezza e alla ricerca del colore e del lusso. L’utilizzo dei coloranti naturali si diffuse vivendo grande sviluppo e ricchezza per poi subire un declino solamente in tempi recenti.

Negli ultimi anni, però, un maggior interesse verso i prodotti di origine naturale da parte del consumatore, mediamente più attento alla qualità della vita, ne ha portato ad una riscoperta. Grazie all’utilizzo di coloranti vegetali si possono ottenere dei capi di abbigliamento unici e personalizzati, più sicuri per la salute e più rispettosi dell’ambiente. Inoltre questi coloranti sono ricchi di tannini che rafforzano la permanenza del colore nei tessuti. Il colore rosso, ad esempio, può essere ottenuto dalla pianta della Robbia, il giallo da una pianta chiamata Cartamo o Zafferanone, dalla lacca di Gualda, dalla pianta di Ginestra minore oppure da un’altra pianta denominata Spincervino ma anche dalla barbabietola rossa cotta mentre il blu da due piante come il Guado e l’Indaco. Altri colori come l’arancione, invece, si possono ottenere con le bucce di cipolla e la paprica, il marrone con caffè, cacao e tè nero, il viola con succo d’uva e vino rosso.