Era un poeta. E dunque in quanto tale, assai interessato alle varianti dei colori. Johann Wolfgang von Goethe pensava che le tinte non fossero altro che la percezione del diverso manifestarsi della luce. E non aveva torto. Perché ogni luce che attraversa o viene riflessa da un corpo incolore genera colore. L’uso dei colori sui tessuti si diffuse in tutta Europa sin dal Basso Medioevo, cioè nei secoli XII, XIII e XIV. Si pensava infatti che proprio i colori accentuassero il valore simbolico della luce e della bellezza interiore. Sino a essere considerati, nelle tesi filosofiche della patristica medioevale, emanazione divina.
L’utilizzo dei colori nell’epoca medioevale: bianco è purezza, rosso è potere
In particolare sui tessuti i colori acquisivano particolari significati. Insieme con gli abiti, del resto, anche le miniature e dipinti si arricchivano di sfumature infinite. Un arcobaleno che dal bianco passava al rosso e al nero. Si faceva uso di colori a piene mani, nella convinzione che, come la flora e la fauna, fossero manifestazioni della bellezza della natura e, quindi, di Dio.
Il simbolismo medioevale si nutriva di una tavolozza infinita. Il bianco era la purezza e dell’innocenza e infatti veniva usato nelle feste dedicate alla Vergine Maria. Il nero esprimeva il lutto e la penitenza: dovevano portarlo i contadini. Il rosso si addiceva ai re, perché era il segno del potere e della vittoria. Emblema di giustizia, fedeltà, spiritualità e regalità, il blu era indossato dai nobili e dai principi. Ciascuna tinta del resto veniva associata a una qualità positiva oppure al contrario a un difetto.
Il colore delle cose
Così, agli albori del XII secolo il teologo, filosofo, cardinale e vescovo cattolico francese, Ugo di San Vittore, esprimeva il suo sentimento sui colori. “Riguardo al colore delle cose non è necessario discutere a lungo, poiché la stessa vista dimostra quanta bellezza aggiunge alla natura, quando essa è adornata di tanti e diversi colori”.